Enoturismo a Roma: Terre del Veio

Terre del Veio enoturismo

Mercoledì 11 maggio 2022, terza pagina del nostro “Diario di (eno)Viaggio”: enoturismo a Terre del Veio, nell’omonimo Parco Regionale (Roma)

Torniamo più che volentieri alla nostra attività preferita, cioè scrivere una nuova pagina del nostro “Diario di (eno)Viaggio”, la terza per l’esattezza. Lasciati i Castelli Romani ci siamo spostati all’interno dei confini capitolini, nella zona nord/nord-ovest, al limitare del comune di Formello. Il nostro tour di enoturismo ci ha portati presso l’Azienda Vitivinicola Terre del Veio e già dalle prime righe dovreste ormai riconoscere lo stile di scrittura del caro amico Alessandro Tellini.

Mercoledì 11 maggio 2022
Appuntamento alle 11 per la visita alla cantina. Puntuali e pronti come la cotica sui fagioli, arriviamo a Terre del Veio con un sole che comincia a essere piuttosto caldo, senza la minima traccia di qualche nuvola che, a chi come me ha divorziato prematuramente dalla propria capigliatura, possa dare refrigerio e sollievo.
Ci accoglie Dario David, terza generazione che coltiva l’uva alle Terre del Veio, ancora prima che divenissero tali, prima che non lo fossero state più senza esserlo, fino a diventare tali.
Ci fermiamo sotto un grande gazebo, con base in cemento e copertura con travi in legno, sotto il quale sono disposti alcuni tavoli e sedie. Dario ci dice che ci attendeva per le 11:30 e che non ha ancora preparato il tagliere per la degustazione ma che se lo avessimo aspettato qualche minuto avrebbe provveduto. Insieme ad Alessio gli diciamo che la degustazione può attendere e chiediamo di poter fare un giro in vigna, magari venendo edotti sulla storia dell’azienda. Il nostro accompagnatore sottolinea che il sole è molto caldo, forse perché ci sospetta cittadini abituati al condizionatore ma noi, sprezzanti di tutti i raggi UV-B, vogliamo invece tutti i raggi UVA (questa arriva dopo qualche secondo; ndr) che la vigna e il cortese, nonché preparatissimo, dottor Dario possono regalarci.
Iniziamo a passeggiare quindi su una strada sterrata affiancata da un piccolo appezzamento di terra coltivato a ulivi da una parte e da un vigneto dall’altra. Mentre ammiriamo le nuovissime foglie di una vite, forse per rompere definitivamente il ghiaccio, il nostro accompagnatore decide di raccontarci un aneddoto: tempo prima, mentre un gruppo di visitatori svolgeva il classico giro in vigna che precede la degustazione, alcuni di loro hanno pensato bene di iniziare a staccare foglie e rametti dalle viti… forse perché erano annoiati (in questo articolo non riportiamo, per decenza, i nostri commenti e la nostra reazione nei confronti di coloro i quali si sono resi protagonisti di tale episodio; ndr).
Arriviamo a una curva a 90 gradi, la piega punta dentro il cuore del vigneto e, mentre continuiamo a passeggiare, Dario comincia a raccontare la storia di quei terreni: visto che di storia si parla, è d’obbligo partire dalla presenza della Tomba etrusca dei Leoni Ruggenti situata nel terreno adiacente quelli dell’azienda. Si tratta di un sito archeologico dell’antica città di Veio, noto soprattutto per i suoi affreschi ben conservati di quattro creature feline, che gli archeologi ritengono rappresentino dei leoni. Il viaggio nella storia si fa più recente: il nonno di Dario possedeva le terre che ora sono dell’azienda e le coltivava a vite; decise poi di venderne una parte che furono in seguito ricomprate dal figlio Paolo (padre di Dario), che a sua volta lasciò il proverbiale “posto in banca” per dedicarsi alla viticoltura e nel 2000 fondare quella che oggi è Terre del Veio.
Ci viene raccontato che la vigna più vecchia dell’intero vigneto è coltivata con diversi tipi di vitigni, divisi per filari: questa scelta fu adottata all’epoca sia per consuetudine, sia per verificare quale uva avesse una migliore riuscita e avere quindi una più ampia possibilità di scelta. Una grandissima parte del vigneto era in passato coltivato a tendone, situazione che le due nuove generazioni avrebbero voluto cambiare per passare al meno produttivo ma più qualitativo sistema di allevamento a spalliera; tuttavia la decisione veniva rimandata perché “non avevano cuore di espiantare le viti storiche”. Il caso ha voluto che un giorno una tromba d’aria ha fatto di forza quello che la mente voleva ma il cuore no: ha letteralmente sollevato la struttura a tendone, dando quindi necessariamente il via al cambio di metodo di allevamento con la conseguente messa a dimora di cloni della vite originale. Sono tuttora presenti, in quelli che erano gli estremi dell’antico vigneto, due piccole strutture a tendone con altrettanti viti originarie che ricordano questo evento e tutta la storia.
Ritorniamo dalla passeggiata e ci dirigiamo nella grotta della cantina che ci fa godere dell’ombra e del fresco che tanto ci sono mancati. Scavata nel tufo, conserva bottiglie, botti in legno e anche il carotaggio del terreno di una delle vigne, che ne mostra chiaramente l’origine vulcanica. Le grotte adibite a cantine per il vino hanno sempre un fascino particolare che sa di tempo e pazienza.
Lasciamo a malincuore la grotta per una veloce vista alla cantina dove ci sono i contenitori in acciaio e dove fa bella vista un enorme e scenografico “coccio” (dolium, per la precisione; ndr) nel quale viene messo ad affinare un vino bianco nominato appunto “De Coccio”.
Mentre passiamo davanti ai locali dedicati “allo sfuso”, Dario ci dice che al momento quel genere di business rappresenta una parte importante del loro lavoro, in quanto costituisce una fonte veloce di introito, molto più immediata della vendita delle bottiglie, fondamentale per sostenere le manutenzioni necessarie, il cui costo è piuttosto importante poiché, per ragioni di lontananza e di “isolamento”, sono impossibilitati a fare fronte comune con altre aziende vitivinicole.
La nostra giornata di enoturismo a Terre del Veio si sta per concludere, non prima però di goderci la degustazione: ci sediamo sotto il gazebo e oltre a un tagliere con salumi e formaggi locali, ci vengono offerti in ordine: un calice di Horta 2021, che è un bianco 100% Bombino (vitigno autoctono): delicato, con un leggero sentore di frutta e un pizzico di mineralità. Con il caldo della giornata, più che un assaggio/degustazione questo Horta ci ha dissetato lasciandosi bere in un attimo. Assaggiamo poi un Cremera bianco 2021 (che prende il nome da un piccolo fiume affluente del Tevere che in parte delimita la proprietà di Terre del Veio), 100% Malvasia Puntinata e che mostra subito una più accentuata freschezza e mineralità del precedente aggiungendo profumi di agrumi e di frutta.
Ultimo vino degustato è un Cremera rosso 2020 parzialmente affinato in legno: rosso giovane, fruttato, morbido e leggermente speziato.
Alla fine della degustazione si parla dell’estrema attenzione di Terre del Veio, oltre che all’enoturismo, anche alla sostenibilità ambientale, per esempio con la lotta integrata: Dario ci dice che possiedono alcune arnie di api che oltre a fornire dell’ottimo miele sono un eccellente e sensibile termometro per la qualità dell’ambiente e svolgono l’importantissimo lavoro di succhiare il succo solo dagli acini danneggiati (non da quelli integri), impedendo a muffe e quant’altro di spargersi tra i grappoli.
Arriva il padre di Dario, Paolo, e tra le altre cose dette al figlio, ci avvisa che c’è uno sciame di api che si è posato su di una vite, aggiungendo che avremmo potuto vederlo prestando un po’ di cautela. Non ce lo siamo fatto dire due volte: sempre perché il confine tra coraggio e stupidità non è mai chiaro, faccio alcune foto allo sciame che sembra non essere disturbato da me, essendo appunto in altra faccenda affaccendato, ovvero sciamare.
Il nostro tour di enoturismo si conclude con i saluti di rito dopo oltre due ore di chiacchere, tempo volato grazie alla cordialità e disponibilità di Dario che ci ha raccontato la storia e la direzione che Terre del Veio rappresenta.

Alessandro Tellini

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La recensione della visita a Terre del Veio.
La scheda di “Terre del Veio” con tutte le informazioni necessarie per gli enoturisti.

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