Matej Fiegl: l’intervista

Matej Fiegl intervista

Inauguriamo la nuova rubrica “inCantina intervista” avendo come gradito ospite Matej Fiegl dell’omonima Cantina di Oslavia (GO), produttori dal 1782

Inauguriamo la nuova rubrica intitolata “inCantina intervista” parlando dell’Azienda Agricola Fiegl di Oslavia (GO) situata al confine con la Slovenia e appartenente all’omonima e antica famiglia di vitivinicoltori.
Le origini (certificate) della loro attività produttiva nel Collio Goriziano risalgono al 1782 e da allora, di generazione in generazione, la cantina ha sempre prodotto vini con l’obiettivo dichiarato di voler esprimere e raccontare attraverso di essi il Territorio di origine.
Abbiamo deciso di contattare Matej, uno dei rappresentanti della più giovane delle due generazioni attualmente alla guida dell’Azienda Fiegl, per farci raccontare attraverso questa intervista qualcosa sulla sua realtà e non solo.
Buona lettura.

Salutiamo Matej Fiegl e lo ringraziamo per averci dedicato un po’ del suo tempo per questa intervista.
Partiamo dall’inizio, se non le dispiace: come presenterebbe se stesso, il suo lavoro e, più in generale, la sua realtà?

Nato 37 anni fa in quel di Gorizia, passata la gioventù scorrazzando con ogni mezzo disponibile lungo le colline di Oslavia. Da sempre affascinato dal profumo della terra, già da bambino avevo l’orticoltura come hobby. A dieci anni, insieme a mio cugino Robert, abbiamo fatto il nostro primo vino: una damigiana da 54 litri, rubacchiando l’uva nei vigneti aziendali. Unica cliente la nonna. Gran cliente, sempre puntuale con i pagamenti.
Con un background così, la scelta della scuola superiore era ovvia: diplomato Perito Agrario a Gradisca
d’Isonzo (GO). Una breve esperienza universitaria, abbandonata per dare una mano nei vigneti a casa.
Gran rammarico non aver completato gli studi universitari, ma mai dire mai…

Si definisce “viticoltore di professione e bevitore per passione”. Quando e come nasce la consapevolezza che la viticultura e l’enologia sarebbero divenute il suo lavoro? L’amore per il vino è nato di conseguenza o, viceversa, è stato una sorta di scintilla dalla quale ha avuto origine il tutto?
Terminati gli studi, il richiamo della vigna si fa ogni giorno più forte. Fatta qualche esperienza fuori dal contesto famigliare (qualche calcio nel sedere fa bene) sono rientrato alla base. In contemporanea Robert termina gli studi e in modo naturale ci dividiamo i settori di competenza. A lui la parte enologica a me quella agronomica. A casa il vino è da sempre presente, in un certo senso la vera nostra casa è la cantina. L’amore per il vino c’è l’ho da sempre. L’amore per approfondire il vino invece è nato intorno ai vent’anni, quando frequentai il corso di sommelier. La geografia è stata una delle mie materie preferite a scuola e riuscire a collegare i vitigni e i vini alle varie zone di produzione è stata la parte più divertente dei tre livelli del corso. Diventato sommelier la mia passione è aumentata anno dopo anno in modo esponenziale.

Qual è la strada che ha percorso per arrivare dove si trova adesso? Da dove è partito, che esperienze ha fatto, che obiettivo aveva quanto tutto è iniziato e che obiettivo ha invece oggi?
La strada è stata lunga ed è ancora lunga perché non sono arrivato ancora da nessuna parte. Ma spesso il viaggio è più bello della meta. Sono partito da Oslavia, ho fatto qualche breve esperienza in giro e sono rientrato a Oslavia. Ogni volta che mi sposto, cerco sempre di ritagliarmi un po’ di tempo per visitare qualche realtà vitivinicola della zona, con gli occhi si ruba tantissimo. Ho avuto la possibilità di visitare areali vitivinicoli negli USA, in Australia, in giro per l’Italia e dappertutto ho trovato spunti interessanti.

Per ovvie ragioni, sono molto interessato all’aspetto enoturistico della sua realtà. Come gestite l’attività ricettiva e come è strutturato il servizio di accoglienza dei visitatori?
La gestione degli ospiti è interna: quando un visitatore viene da noi in cantina, c’è sempre uno di famiglia che gli fa da cicerone.
All’arrivo diamo il benvenuto a Oslavia spiegando il territorio. Segue il giro in cantina con tappa finale al piccolo museo dei reperti della Grande Guerra. Reperti che abbiamo trovato nelle nostre vigne. La parte più divertente è la degustazione. I vini sono abbinati a salumi e formaggi della zona. Così è strutturata una visita “standard”.

Mi può spiegare il suo concetto di “ospitalità” e di “condivisione”?
Secondo la Treccani l’ospitalità è la qualità di chi è ospitale, cordiale generosità nell’accogliere e trattare gli ospiti. Il vino è il social network più vecchio al mondo ed è anche il migliore, io lo amo. La cultura occidentale è impregnata di vino. Intorno a un calice di vino, nascono amicizie, amori, affari e perché no baruffe. Essere ospitali quando hai a che fare con il vino diventa facile perché il protagonista è lui, non io. E’ così bravo, che ti sgrava da tanto lavoro. Il mio/nostro lavoro durante una visita in cantina è di raccontarlo nel modo migliore. Capita che durante una degustazione si crei un’atmosfera, tra gli ospiti e il vino, magica.
Ci sono casi in cui chi ci ha fatto visita si ricorda della degustazione anche ad anni di distanza.

Quali sono le differenze, ammesso che per lei ce ne siano, nell’aprire le porte della vostra cantina ai visitatori occasionali, piuttosto che ai clienti abituali, agli enoturisti esperti o agli “amici di sempre”?
Grandi differenze non ci sono. Logicamente durante una degustazione bisogna capire chi si ha davanti, per farsi comprendere meglio. Per un enoturista esperto si usa un linguaggio più tecnico, mentre gli stessi concetti al visitatore occasionale vanno raccontati con più semplicità. E per semplicità non intendo in modo banale. Rendere un concetto tecnico comprensibile ai più non è per niente facile.

Cosa si deve aspettare chi viene a trovarvi in azienda per partecipare a una visita con degustazione o a un evento appositamente organizzato?
Un’immersione nel territorio di Oslavia attraverso la storia, la cultura e il vino di questo lembo di terra del
Friuli Venezia Giulia.

Vi capita di stappare vecchie annate in occasione di visite da parte di enoturisti oppure riservate questo tipo di eventi a occasioni particolari, appositamente organizzate?
Capita di stappare annate vecchie anche durante le visite degli enoturisti. Come decidiamo se aprire una bottiglia o no? Mah, dipende un po’ dal nostro umore, poi dalla voglia di far assaggiare qualcosa di particolare e di assaggiare noi stessi quella bottiglia. Qualche volta le apriamo per la simpatia e la curiosità degli ospiti.
In questi giorni sto rinnovando il nostro sito (https://www.fieglvini.com/; N.d.R.) nel quale ci sarà la possibilità di prenotare una degustazione interamente basata su vecchie annata del nostro Merlot Leopold.

Siete molto attivi dal punto di vista della comunicazione, soprattutto attraverso l’utilizzo di Facebook,
Instagram e YouTube. Periodicamente pubblicate video attraverso i quali mostrate e spiegate, in maniera chiara e trasparente, la vostra attività quotidiana, in vigna e in cantina, anche in momenti impegnativi e delicati come la vendemmia. E’ lei che si occupa, principalmente, di questo tipo di attività; come è nato questo desiderio di condivisione e quali risultati porta?
E’ una passione che è diventata anche un lavoro. Nel lontano 2010 ho creato, quasi per gioco, il primo gruppo su Facebook. All’epoca di cantine su Fb non ce ne erano: esisteva il mio gruppo “We Love Fiegl Wine” e un gruppo di appassionati di Sassicaia. Purtroppo nel 2011, per poter lavorare in modo più professionale, Facebook spingeva per la creazione di fan page. Di conseguenza aprii la pagina e cancellai il gruppo, perdendone la storicità. Per fortuna l’indirizzo di rimando in retro etichetta l’avevo messo, così ho la testimonianza di essere stato tra le prime cantine su Fb. Con il tempo si sono aggiunti altri social, fino ad arrivare a oggi, dove gestisco il profilo aziendale su Instagram, Facebook e YouTube e in più ho una newsletter settimanale. E’ tanto lavoro, ma i risultati sono importanti. Lo faccio perché mi piace far vedere il dietro le quinte del mondo del vino. Per fortuna Steve Jobs ha “inventato” lo smartphone, perché all’inizio della mia avventura con i Social ci voleva molta passione: per creare un contenuto dovevo fare la foto con la fotocamera, scaricare la foto sul pc, caricarla su Facebook, scrivere il post e poi pubblicarlo… connessione permettendo. Oggi con il mio iPhone faccio tutto o quasi. Tanti contenuti li creo sul trattore mentre sto lavorando. Questo non vuol dire che è tutta improvvisazione, anzi, studio e leggo tanto per essere aggiornato in continuazione. E poi, il vino è il social network per eccellenza.

Con il tempo si sono aggiunti altri social, fino ad arrivare a oggi, dove gestisco il profilo aziendale su Instagram, Facebook e YouTube e in più ho una newsletter settimanale. Per fortuna Steve Jobs ha “inventato” lo smartphone […] oggi con il mio iPhone faccio tutto o quasi. Tanti contenuti li creo sul trattore mentre sto lavorando.
(Matej Fiegl, estratto dall’intervista)

Si sente sempre più spesso parlare di vino, viticultura e/o enologia di qualità; concetti che vengono sottolineati come se la qualità fosse un optional, da scegliere o meno in base alle proprie possibilità, anziché un punto di partenza imprescindibile quanto sottointeso (come dovrebbe invece essere). Qual è il suo concetto di qualità, al di là degli arcinoti fattori come “riduzione delle rese”, “vendemmia manuale”, “selezione dei grappoli”, “controllo delle temperature”, “pulizia in cantina”, ecc.?
La qualità è l’insieme di tanti fattori, come quelli riportati nella domanda. Secondo me però quei concetti non bastano. Un vino di qualità deve avere anche valori importanti. A esempio il pagamento regolare dei fornitori è un aspetto che fa aumentare la qualità di un vino. Lo stesso si dica del rispetto e del pagamento degli stipendi dei vari collaboratori. La ricerca di una diminuzione dell’impatto ambientale, vero non quello di facciata e sbandierato al vento. Il mantenimento del territorio fa aumentare la qualità del vino.

Una risposta originale la sua, sicuramente interessante. Reputa quindi che il concetto di qualità vada oltre gli aspetti tecnici, produttivi e territoriali sconfinando in altri campi, più etici diciamo?
Si, ne sono convinto

Un’altra espressione che va molto di moda nell’ultimo periodo è “vini che rappresentano/raccontano il territorio”. In che modo, secondo lei, si deve operare (in vigna, in cantina, in post-produzione…) affinché una bottiglia sia davvero espressione del territorio dal quale nasce? E come si fa, secondo lei, a veicolare questo concetto fino al consumatore meno esperto ma pur sempre amante del vino?
Per raccontare il territorio un vino in primis lo deve rispettare. Per rispettarlo, e poi esaltarlo, ci vuole lavoro e intelligenza. Il vignaiuolo deve conoscere ogni aspetto delle proprie vigne. La vigna va vissuta, va ascoltata, va camminata. Il compito dell’enologo è di accompagnare l’uva nella sua trasformazione in vino.
Le varie lavorazioni in cantina devono essere ponderate e cucite su misura.
Veicolare il concetto di territorio è compito arduo. Ma negli ultimi anni ci sono parecchi mezzi di comunicazione che ci danno una mano. I social network sono utili. Il fare gruppo con altri produttori di zona è un modo intelligente di lavorare. A esempio, qua a Oslavia, una decina di anni fa abbiamo creato
l’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia. Uno degli scopi è di far conoscere il territorio di Oslavia in primis e poi il vino Ribolla Gialla di Oslavia.

Approfitto della parte finale della sua risposta per approfondire un argomento che mi sta particolarmente a cuore: la promozione del territorio attraverso la collaborazione, e l’unione di intenti, tra i produttori che in esso lavorano.
Grazie all’attività svolta con “inCantina”, il nostro portale, ho potuto appurare quanto il Friuli Venezia
Giulia sia attivo da un punto di vista enoturistico e, “guardandovi da fuori”, voi vitivinicoltori date l’idea di essere, se non proprio una squadra, quantomeno un gruppo unito che rema nella stessa direzione. E’ effettivamente così, oppure si potrebbe fare qualcosa di più/diverso? Come sono i rapporti tra voi? Ci può raccontare qualcosa in merito?
Il Friuli Venezia Giulia è una regione straordinaria, poco conosciuta, e nel nostro piccolo stiamo contribuendo a farla emergere. C’è tantissimo lavoro da fare per sfruttare a pieno il potenziale turistico della regione, a partire dalla promozione. Banalmente basta prendere a paragone due realtà simili (fino a un certo punto): la comunicazione su Instagram dell’account turistico ufficiale FVGlive e l’account ufficiale della Slovenia, IFeelSlovenia… la differenza è abissale.
A Oslavia con l’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia stiamo lavorando bene. Abbiamo davanti a noi ancora tanto lavoro. Essendo prima di tutto un gruppo di amici, lavoriamo in sintonia e i risultati pian pianino ci stanno premiando.

A proposito di “Territorio”, la sua azienda sorge a poche centinaia di metri dal confine con la Slovenia. Ci può raccontare cosa significa vivere e lavorare in una zona di confine?
Fino al 1945 non è mai esistito un confine. Non c’era questa divisione fra noi e loro. A Gorizia e dintorni si parlava tranquillamente in italiano, sloveno, tedesco e friulano. Un vero melting polt. Per 400 anni siamo stati il sud dell’Impero Asburgico, poi siamo diventati il nord-est del Regno d’Italia e infine ci siamo trovati tagliati dal confine nel 1945. I primi anni del confine, erano assai pesanti. Con l’indipendenza della Slovenia la situazione migliorò. Mi ricordo, da bambino, che per passare il confine avevamo il lasciapassare, un documento unico nel panorama italiano: la mitica “Prepustnica”. Appartenendo alla minoranza slovena in
Italia, ho frequentato le scuole primarie bilingui, dove avevamo l’insegnamento sia della lingua italiana che della lingua slovena. Sono orgoglioso di essere l’unione di queste due grandi culture. Spesso mi chiedono se sono italiano o sloveno. Io rispondo sempre che sono: oslaviano (abitante di Oslavia), italiano, sloveno ed europeo. Dal punto di vista lavorativo è un vantaggio essere a cavallo del confine. Banalmente in caso di un problema con un qualche attrezzo, posso valutare dove trovarlo a un prezzo migliore.

La vostra produzione ricade all’interno delle denominazioni “Friuli Isonzo” e “Collio”; al netto dello stile del vignaiolo (e/o dell’enologo), e delle inevitabili differenze tra i vari vitigni ammessi dai disciplinari, quali sono le caratteristiche tipiche dei vini che nascono all’interno di queste due DOC?
Gran parte delle operazioni svolte nei vigneti delle due DOC, vengono eseguite quasi allo stesso modo. A esempio la potatura verde viene fatta a mano in tutte le vigne. La differenza principale è la facilità di meccanizzazione dei vigneti della DOC Friuli Isonzo. Essendo vigne di pianura è tutto più facile. A esempio nelle ultime due annate ho sperimentato la vendemmia meccanica con risultati positivi. In collina per lavorare le vigne con il trattore hai bisogno di maggior attenzione ed esperienza, il rischio è sempre presente. A ogni modo, molte lavorazioni devi svolgerle per forza di cose manualmente per il semplice fatto che magari non esistono attrezzi adatti alla collina.
Le caratteristiche dei vini prodotti nelle due DOC sono strettamente collegate alla tipologia del terreno: nella DOC Friuli Isonzo abbiamo una terra alluvionale, ricca di ciottoli, simile alle Graves di Bordeaux; in Collio domina invece la Ponca, costituita da marne e arenarie stratificate di origine eocenica, un terreno ricco di sali e microelementi, dal quale la vite riesce a produrre uve che daranno vita a vini eleganti e minerali.
In breve e semplificando: i vini della DOC Friuli Isonzo sono più immediati, mentre i vini del Collio sono eleganti, profondi, minerali in grado di reggere bene l’invecchiamento.

A ogni modo, molte lavorazioni devi svolgerle per forza di cose manualmente per il semplice fatto che magari non esistono attrezzi adatti alla collina.
(Matej Fiegl, estratto dall’intervista)

Finora, dalle risposte che ci ha dato, emerge in maniera molto evidente la passione per il suo lavoro e il piacere nel raccontarlo. Ci direbbe tre fattori che rendono il suo mestiere “il più bello di tutti” e altrettanti che lo fanno essere, al tempo stesso, “difficile e impegnativo”?
I tre “più bello di tutti”:
– si crea la magia del vino, una lingua universale;
– si è a contatto con la natura;
– non c’è monotonia nel lavoro.
I tre “difficile e impegnativo”:
– la natura comanda;
– ormai c’è poco margine di errore, sbagliando si impara;
– aver a che fare con la burocrazia.

Leggendo le sue comunicazioni che periodicamente giungono tramite newsletter, emerge in maniera evidente un sincero spirito di solidarietà e una certa propensione a farsi promotore di iniziative di beneficenza e/o di raccolta fondi. Le andrebbe di raccontarci qualcosa in più in merito?
Nel 2019 sono diventato papà. Lo sono diventato in modo traumatico: Manuel e Thomas sono nati con tre mesi di anticipo. Non eravamo preparati ad affrontare una situazione simile, nessuno lo è. In quei momenti ti ritrovi in un mare, e l’unica cosa da fare è nuotare. Se non lo sai fare lo impari alla svelta.
La fortuna, nella sfortuna, era di essere seguiti dalla Terapia Intensiva Neonatale dell’ospedale Burlo Garofolo di Trieste, una struttura d’eccellenza. In quelle giornate passate con il fiato sospeso, ho imparato tanto sulla vita. In modo brutale sono cresciuto tanto.
Il supporto ai genitori viene dato dall’Associazione Scricciolo di Trieste. Mia moglie ha usufruito dell’appartamento messo a disposizione da Scricciolo per ben 91 giorni. Questa è solo una attività tra le tante svolta dall’Associazione: ci sono inoltre i progetti legati allo psicologo, al seguire i bambini anche oltre i 3 anni d’età, all’acquisto di strumenti e attrezzature per la Terapia Intensiva Neonatale, ecc.
Come ringraziamento per tutto l’affetto che abbiamo ricevuto dall’associazione Scricciolo mi è venuto naturale sdebitarmi e sono diventato molto volentieri una specie di ambasciatore. Con il Natale 2020 ho iniziato la prima raccolta fondi: in pratica il 10% degli incassi ottenuti tramite le vendite sul nostro e-shop andava e va finanziare la raccolta benefica a favore di Scricciolo. Nel 2020 abbiamo raccolto 1565€, usati per il progetto GreenTin. Nel 2021, sono stati raccolti 1800€ spesi per la manutenzione degli alloggi destinati alle neomamme e nel 2022 l’obbiettivo è arrivare ai 2000€.


Apriamo una breve parentesi in questa intervista per aggiungere qualche informazione utile sull’Associazione Scricciolo di Trieste della quale ci ha parlato Matej Fiegl.
Scricciolo è un’associazione di volontariato fondata il 16 dicembre 2007 da un gruppo di genitori che ha avuto i propri bambini ricoverati presso il reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale (TIN) dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste. L’Associazione opera prioritariamente nella provincia di Trieste e nell’area giuliano-isontina, promuove e realizza interventi di sostegno morale, materiale e psicologico in favore dei genitori dei neonati ricoverati, in fase post-dimissione e in altre situazioni in cui sia necessario un supporto alla famiglia. Tali interventi vengono realizzati sia attraverso l’opera di volontariato dei soci e dei volontari dell’Associazione stessa, sia attraverso l’intervento di personale specializzato. Tutte le attività promosse possono realizzarsi grazie ai contributi che provengono dalle quote associative, dalle donazioni di privati cittadini e/o di aziende private, dai contributi pubblici, dall’organizzazione di eventi per la raccolta di fondi o dalla campagna del 5Xmille (tratto dal sito web ufficiale dell’Associazione).
Contatti:
https://www.scriccioloassociazione.org/
info@scriccioloassociazione.it
https://www.facebook.com/Scricciolo2007/
whatsApp: 3381305068


Riprendiamo l’intervista a Matej Fiegl.
Che tipo di bevitore è lei? Quali sono le tipologie di vino che più preferisce? Che bottiglie acquista e dove (enoteca, grande distribuzione, online, direttamente dal produttore…)?
Dal bianco al rosso passando per i rosé e finendo con gli Orange Wine, devo dire che mi piacciono tutte le tipologie. Sono un bevitore curioso. Acquisto tanti vini online, per vedere come lavorano, e rubare eventualmente qualche trucchetto per il nostro e-shop. Non disdegno acquisti in enoteche e dai produttori, anzi, però devo ritagliarmi il tempo necessario perché in quel caso l’acquisto è meno compulsivo e più ragionato.

Qual è il suo vitigno preferito in veste di viticoltore e quale quello in veste di “bevitore”?
Due sono i vitigni che amo dal punto di vista della vigna. Il Sauvignon e la Ribolla Gialla. Il Sauvignon è un vitigno diffuso in tutto il mondo, ma poche sono le zone dove viene veramente bene. La Ribolla poi è la regina di Oslavia e come ogni regina è esigente ma sa anche ricompensare bene.
Da bevitore amo il Sauvignon e la Malvasia Istriana per i bianchi. Il Sangiovese in tutte le sue declinazioni per i rossi. Uno dei vini che più mi ha stregato però è il Syrah.

Porta un cognome la cui storia documentata (relativamente alla viticultura) risale a quasi 250 anni fa.
Cosa avverte maggiormente, il senso di responsabilità nei confronti di una storia così longeva e continuativa oppure l’orgoglio di appartenenza a una famiglia con radici (nel Territorio) profonde e antiche?
La responsabilità e l’orgoglio fusi insieme.

Se Manuel e Thomas decidessero di seguire le sue orme, e di tutti i famigliari che vi hanno preceduti, quali consigli darebbe loro? In che modo cercherebbe di aiutarli nel percorso che li attende?
Li lascerei liberi di fare le loro esperienze. Poi cercherei di lasciargli spazio per provare le loro idee. Questo in teoria, in pratica lo vedremo fra una ventina di anni…

Chiudiamo questa intervista ringraziando di cuore Matej Fiegl per averci raccontato qualcosa sulla sua realtà, sul suo lavoro e sul suo territorio ma anche per aver condiviso con noi alcuni aspetti ed episodi strettamente personali.
Per quanto ci riguarda, contiamo di mettere online la prossima intervista tra una settimana: è quasi tutto pronto, mancano solo alcuni dettagli; ovviamente non vi sveleremo di chi si tratta ma dovrete aspettare di leggere l’articolo quando sarà online.
Nel frattempo, se ci fosse qualche protagonista del mondo dell’enologia e della vitivinicoltura italiana al quale vorreste porre delle domande, inviateci pure i vostri suggerimenti e noi proveremo a raggiungerlo per un’intervista, come fatto con Matej Fiegl (purché si tratti di un personaggio che approccia al suo lavoro in maniera professionale e al tempo stesso personale e soprattutto passionale ma che abbia anche una propria marcata unicità – il termine “identità” è fin troppo usato, a nostro parere, e ormai ha quasi perso il suo significato originale).

La riproduzione, anche parziale, di questo testo è vietata.
inCantina ha realizzato questa intervista e ha ricevuto l’autorizzazione a pubblicarla, esattamente così come riportata nell’articolo, direttamente da Matej Fiegl.


Per maggiori dettagli sull’Azienda Agricola Fiegl e su quanto Matej ci ha raccontato in questa intervista:
https://www.fieglvini.com/
https://www.facebook.com/fieglwine
https://www.youtube.com/user/azFiegl
https://www.instagram.com/fiegl_wines/