Chiara Ciavolich: l’intervista

Chiara Ciavolich

Sesto appuntamento con la nuova rubrica “inCantina intervista”: stavolta l’ospite è Chiara Ciavolich, proprietaria dell’omonima Azienda Agricola di Loreto Aprutino (PE)

Questo sesto appuntamento con la rubrica “inCantina intervista” ha come protagonista Chiara Ciavolich, proprietaria dell’omonima Azienda Agricola di Loreto Aprutino (PE), in Abruzzo.
Le domande sono state preparate tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 ma per una lunga serie di circostanze, con le quali non intendo tediarvi, sono riuscito a raggiungere la nostra ospite solo una decina di mesi dopo. Nel lasso di tempo intercorso si sono verificati diversi eventi che mi hanno spinto a integrare il testo con alcune domande aggiuntive alle quali Chiara Ciavolich non è suo malgrado ancora riuscita a rispondere; contiamo sul fatto che una volta trascorso questo periodo, per lei decisamente impegnativo, possa avere la possibilità di dedicare un pochino del suo tempo per completare l’intervista.
Noi aspettiamo fiduciosi ma preferiamo non aggiungere altro così da non rischiare di anticipare temi e argomenti che sono e saranno affrontati nel corso della “chiacchierata” con Chiara Ciavolich.
Buona lettura.

Salutiamo Chiara Ciavolich e la ringraziamo per averci dedicato un po’ del suo tempo per questa intervista. Partiamo dall’inizio, se non le dispiace: come presenterebbe se stessa, il suo lavoro e, più in generale, la sua realtà?
Come produttrice di vino, la mia vocazione nasce da un profondo senso di gratitudine familiare, e dal desiderio di preservare la continuità storica di una tradizione di produttori che coinvolge un intero territorio e tante persone. Il motto della mia azienda agricola è “Storia, cultura, territorio”; penso che in quelle parole sia riassunta la mia realtà. La figura di mio padre è sempre stata e continuerà a essere la mia fondamentale ispirazione umana. All’età di 15 anni, nel dopoguerra, dovette farsi carico dell’economia familiare in un contesto di totale devastazione. Anche mia zia Giuliana è stata molto importante per me. Da lei ho imparato che, insieme al lavoro e ai frutti della terra, nel mondo esiste anche la bellezza.

L’attività (documentata) vitivinicola della sua famiglia, da quanto si evince dal vostro portale web, risale a quasi 170 anni fa, e lei porta un cognome che qui in Italia ha “messo radici” nel XVI secolo.
Cosa avverte maggiormente, il senso di responsabilità nei confronti di una storia così longeva e continuativa oppure l’orgoglio di appartenere a una famiglia legata in maniera così antica e profonda al Territorio?
Il nostro senso di appartenenza è qualcosa di misterioso e non saprei dargli una spiegazione solo razionale. Quello che posso affermare è che, da quando ho memoria, la famiglia ha sempre sentito una forte responsabilità verso il passato, ma anche verso il futuro. Da bambina, i racconti di famiglia che mi raccontavano mio padre e mia zia sui Ciavolich, sui Vicini, o sull’amicizia della mia bisnonna Ernestina Vicini con grandi artisti come Michetti, sono sempre stati magici per me. Erano come un mondo poetico. Penso che abbiano saputo infondermi quella responsabilità, di guardare indietro con gratitudine, e guardare avanti con orgoglio e con vocazione al bene comune, per questa storia d’amore per il vino e per la terra, dalle origini a Miglianico fino a oggi a Loreto Aprutino. Di tutto questo mondo fanno parte anche tante persone che ci hanno accompagnato e ci accompagnano senza far parte della famiglia.

Il claim che si legge nell’home page del vostro sito cita: “Storia, cultura, territorio”. Qual è l’ordine di importanza in cui mette questi tre termini e che significato dà a ognuno di loro?
Non potrei concepire una gerarchia tra i tre termini. Credo che si sostengano a vicenda e siano interdipendenti. La storia è la nostra fonte, il nostro principio di realtà. Soprattutto la storia che corrisponde a Miglianico, quando i tedeschi occuparono il palazzo della mia famiglia e mio padre, mia zia e mia nonna dovettero rifugiarsi nelle grotte dove fermentava il vino. Il termine cultura rappresenta il primordiale della terra, il frutto che, attraverso un atto di cultura, appunto, trasformiamo dalla natura. Vino e olio, in questo senso, sono paradigmatici. Questo, finalmente, è il territorio che ci accoglie, prima Miglianico, oggi Loreto Aprutino, arrivata in eredità negli anni 60 dalla successione ereditaria di Donna Ernestina Vicini e dove ho trasferito l’azienda nel 2011; più in generale la regione Abruzzo, che secondo me ha un fascino davvero impressionante.

Rimanendo in tema, mi saprebbe descrivere quali sono i “luoghi comuni del mondo del vino” dai quali siete intenzionati a tenervi lontani (in riferimento alla breve descrizione che appare sulla vostra pagina Facebook)?
Fondamentalmente vogliamo stare lontani dalle mode o da un modo di produzione che si basa esclusivamente su fondamentali commerciali, su una logica di crescita infinita che non ha senso.
Certo il mercato è importante, chi può dubitarne, ma ci sono tanti modi per fare affari.
Per raggiungere una certa eccellenza non basta voler fare soldi.
Quantità e qualità non vanno necessariamente di pari passo. Il mercato, infatti, è invaso da prodotti di bassa qualità che appaiono sofisticati e in realtà non lo sono. La motivazione fondamentale perché il vino raggiunga una visione esaltata del gusto non ha nulla a che fare con fattori esterni, ma solo con la vocazione a raggiungerla. E quella vocazione risiede più nel cuore che nella testa.

 

Chiara Ciavolich - collaboratori Da bambina, i racconti di famiglia che mi raccontavano mio padre e mia zia […] sono sempre stati magici per me. Erano come un mondo poetico. Di questo mondo fanno parte anche tante persone che ci hanno accompagnato e ci accompagnano senza far parte della famiglia.
(Chiara Ciavolich, estratto dall’intervista – Foto di Donatella Mancini)


Qual è la strada che Chiara Ciavolich ha percorso per arrivare dove si trova adesso? Da dove è partita, che esperienze ha fatto, che obiettivo aveva quanto tutto è iniziato e che obiettivo ha invece oggi?
Mio padre mi ha ceduto l’azienda nel 2004. La situazione era difficile. Si ammalò e io dovetti assumermi quella responsabilità, con il vento contrario. C’era molta confusione, e molto da risolvere, soprattutto negli aspetti produttivi e amministrativi. Coloro che in quel periodo facevano parte della direzione aziendale non erano esattamente persone oneste. Quindi ho dovuto confrontarmi con loro, che avevano approfittato della debolezza di mio padre a proprio vantaggio. A poco a poco ho cominciato a pensare di diversificare la produzione, migliorare la qualità e produrre nuovi vini. È stato un processo molto lungo e laborioso.

 

Per ovvie ragioni, sono molto interessato all’aspetto enoturistico della sua realtà. Come gestite l’attività ricettiva e come è strutturato il servizio di accoglienza dei visitatori?
La mia è una azienda agricola a 360 gradi. Non solo vigne, ma anche olivi e seminativo. Proprio come una volta quando le aziende agricole erano un mondo autosufficiente. Mancano solo gli animali.
Non ho mai concepito la mia cantina e la mia agricoltura senza l’ospitalità.
Per me, la masseria boutique che abbiamo nel tempo creato, è parte integrante ed essenziale di un discorso di valorizzazione del territorio e delle sue risorse, soprattutto umane.
Abbiamo un piccolo agriturismo con 6 camere arredate con gusto e mobili antichi.
È molto confortevole e accogliente. Essendo circondati da vigneti e molto vicini alla cantina dove viene prodotto il vino, l’esperienza per i visitatori è ottimale, perché in questo modo hanno un contatto diretto con la produzione del vino, dalla terra fino all’imbottigliamento. I visitatori, se lo desiderano, possono fare degustazioni e anche fare una passeggiata guidata nel territorio, in cui raccontiamo loro nel dettaglio la storia della famiglia e il modo in cui ci avviciniamo al processo produttivo.
L’esperienza è a misura di ospite e le signore che lavorano sull’ospitalità, in primis la signora Paola, restano per sempre nella memoria dei nostri ospiti per la cura che viene loro riservata e soprattutto…per le colazioni!

Quali sono le differenze, ammesso che per lei ce ne siano, nell’aprire le porte della vostra cantina ai visitatori occasionali, piuttosto che ai clienti abituali, agli enoturisti esperti o agli amici di sempre?
Ovviamente ci sono delle differenze, ma noi cerchiamo di aprire le porte sempre con lo stesso volto e con la stessa sensibilità. Poi ogni visitatore è libero di decidere quanto vuole essere informato e come farsi coinvolgere nelle nostre attività.

Il valore di una Donna”, “Discovering Loreto Aprutino” e “La vendemmia dei piccoli”, solo per citare alcuni degli eventi organizzati dalla vostra azienda negli ultimi mesi; potrebbero essere ricondotti, rispettivamente, ai tre termini “Cultura”, “Storia” e “Territorio”. Il vostro modo di comunicare (tramite newsletter, sito web, canali social…) e, soprattutto, il tenore degli appuntamenti che periodicamente si tengono presso la vostra cantina (come i tre sopraelencati), sono un gradevolissimo misto di eleganza, spirito di accoglienza, semplicità (nell’accezione positiva del termina) e genuinità (tipica dei vignaioli, lavoratori della terra e dell’uva). Si riconosce in questa descrizione? Qual è la vostra cifra stilistica? In che modo vi piacerebbe essere percepiti dai vostri visitatori?
Grazie mille per i complimenti che mi fate. Ciò che cerco di fare è avvicinare le persone a un mondo, Ciavolich, che non è solo vino. E’ la voglia, attraverso il vino, di comunicare e condividere con i nostri clienti cultura, bellezza, sostenibilità, storia, territorio. Mi piacerebbe che i nostri clienti, visitatori, percepissero un modo possibile di fare impresa in maniera etica e sostenibile, che prova a coniugare una produzione autentica, uno stile di vita più slow che fast, la cultura della bellezza e della storia del nostro territorio.
Un qualsiasi vino. Un modo di intendere la produzione ma anche la vita.

 

Chiara Ciavolich - ulivo La mia è una azienda agricola a 360 gradi. Non solo vigne, ma anche olivi e seminativo. Proprio come una volta quando le aziende agricole erano un mondo autosufficiente.
(Chiara Ciavolich, estratto dall’intervista – Foto di Donatella Mancini)


Vi capita di stappare vecchie annate in occasione di visite da parte di enoturisti oppure riservate questo tipo di eventi a occasioni particolari, appositamente organizzate?
Non è qualcosa che facciamo spesso. Non abbiamo moltissime bottiglie a disposizione delle vecchie annate. E cerchiamo di riservare queste aperture a delle occasioni create appositamente sia per i clienti privati, che per la stampa e gli operatori di settore

Si sente sempre più spesso parlare di vino, viticultura e/o enologia di qualità; concetti che vengono sottolineati come se la qualità fosse un optional, da scegliere o meno in base alle proprie possibilità, anziché un punto di partenza imprescindibile quanto sottointeso (come dovrebbe invece essere). Qual è il concetto di qualità per Chiara Ciavolich, al di là degli arcinoti fattori come “riduzione delle rese”, “vendemmia manuale”, “selezione dei grappoli”, “controllo delle temperature”, “pulizia in cantina”, ecc.?
Il senso della qualità, per noi, incorpora molteplici fattori. Alcuni sono quelli che hai menzionato nella domanda. Sono questioni pratiche che hanno una grande influenza. Ma il contenuto più profondo, possiamo dire, va oltre. È un’ispirazione che nasce dal proprio gusto, dal suo esercizio e purificazione, ma anche da un’intuizione che deve corrispondere al territorio, a ciò che la storia e l’eccellenza del nostro territorio si aspetta da noi. Può sembrare un po’ astratto, ma questo fattore è decisivo e comprende aspetti tanto razionali quanto trascendenti.

Un’altra espressione che va molto di moda nell’ultimo periodo è “vini che rappresentano/raccontano il territorio”. In che modo, secondo lei, si deve operare (in vigna, in cantina, in post-produzione…) affinché una bottiglia sia davvero espressione del territorio dal quale nasce? E come si fa, secondo lei, a veicolare questo concetto fino al consumatore meno esperto ma pur sempre amante del vino?
È una questione molto pertinente, perché la tendenza naturale del mercato è l’omogeneizzazione di tutto. L’uniformizzazione del gusto in virtù del processo commerciale. Innanzitutto bisogna considerare la necessità di affermare le varietà locali, regionali, le uve autoctone, che hanno una storia e rappresentano fedelmente il territorio. Nel nostro caso ci riferiamo al Montepulciano abruzzese, al Trebbiano, alla Cococciola, al Pecorino, alla Passerina. C’è un primo passo territoriale che è fondamentale.
C’è poi la necessità di portare a casa, per poter davvero esprimere il territorio, una materia prima di altissimo livello, che non necessiti di altro che una di vinificazione leggera e di accompagnamento alla trasformazione in un grande vino. Senza manipolazioni di sorta.

Al netto di quelle da lei prodotte, quali sono le tipologie di vino che più preferisce? Che bottiglie acquista e dove (enoteca, grande distribuzione, online, direttamente dal produttore…)?
Ho la fortuna di far parte di un gruppo di distribuzione nazionale di altissimo spessore. La Heres Spa di Cesare Turini. Quando ho voglia di bere qualcosa di veramente valido, mi affido a loro che hanno in portafoglio vini italiani e francesi di un livello da capogiro.
Tra gli altri amo bere il Pinot nero di Gottardi, il catarratto di Ciro Biondi, il Lambrusco di Silvia Zucchi, il Nebbiolo di Roberto Voerzio, il verdicchio di Marani e moltissimi altri.

 

Chiara Ciavolich - vendemmia Mi piacerebbe che i nostri clienti, visitatori, percepissero un modo possibile di fare impresa in maniera etica e sostenibile, che prova a coniugare una produzione autentica, uno stile di vita più slow che fast, la cultura della bellezza e della storia del nostro territorio.
(Chiara Ciavolich, estratto dall’intervista – Foto di Donatella Mancini)

 

Qual è il vitigno preferito dalla Chiara Ciavolich produttrice e quale invece quello che gradisce di più in veste di appassionata di vino?
Rispondo come produttrice: a livello di vitigno di certo preferisco il Montepulciano, plasticissimo e in grado di dare vita a vini di uno spettro ampissimo che vanno da vini leggeri e freschi a grandi rossi da affinamento al Cerasuolo d’Abruzzo…il vino del futuro.

 


Come spiegato all’inizio dell’articolo, questa intervista era stata integrata con altre sei o sette domande aggiuntive alle quali Chiara Ciavolich, suo malgrado, non ha avuto la possibilità di rispondere poiché alle prese con un periodo molto impegnativo. Nutriamo la speranza di poter in futuro ricevere le risposte mancanti così da approfondire alcuni temi trattati e affrontarne altri non ancora accennati.
Abbiamo preferito pubblicare l’intervista, anche se non completa, perché la riteniamo essere molto interessante; le risposte che Chiara Ciavolich ci ha fornito non sono mai scontate ne banali, al contrario trasmettono emozioni, sono ricche di sentimento, passione e storia. Per questi e altri motivi non intendevamo rimandarne, oltre quanto già fatto, la pubblicazione e ci tenevamo a condividere con i nostri lettori tutto quello che è emerso nel corso di questa gradevolissima “chiacchierata”.



La riproduzione, anche parziale, di questo testo è vietata.
Questa intervista è stata realizzata da inCantina che ha ricevuto l’autorizzazione a pubblicarla, esattamente così come riportata nell’articolo, direttamente da Chiara Ciavolich, proprietaria dell’omonima Azienda Agricola di Loreto Aprutino (PE).
Tutte le foto presenti in questo articolo sono state realizzate da Donatella Mancini e pubblicate su concessione di Chiara Ciavolich.

 


Per maggiori dettagli sul lavoro svolto da Chiara Ciavolich nella sua azienda e su quanto ci ha raccontato in questa intervista:
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