1 dicembre 2022, ventinovesima pagina del “Diario di (eno)Viaggio”: giornata di enoturismo presso Tenuta La Pazzaglia (Castiglione in Teverina, VT)
Salutiamo con un “arrivederci” Tenuta di Pietra Porzia (dove contiamo di tornare presto per completare quanto iniziato) e lasciamo l’area dei Castelli Romani per spostarci da tutt’altra parte, nella zona nord della regione, al confine con l’Umbria. Anche in questa occasione prendo momentaneamente in prestito la penna dalla persona che solitamente si occupa di redigere il nostro “Diario di (eno)viaggio”: infatti, poiché il caro amico Alessandro Tellini ha avuto la peggio in uno scontro ravvicinato con un classico malanno di stagione, non ha potuto prendere parte alla giornata di enoturismo presso Tenuta La Pazzaglia e spetta quindi a me raccontarvela attraverso questa ventinovesima pagina.
Buona lettura.
Giovedì 1 Dicembre 2022
Tenuta La Pazzaglia è una di quelle mete che vale la pena raggiungere anche solo per il piacere di godersi il viaggio, soprattutto nella sua parte finale. L’azienda infatti è incastonata, è il caso di dirlo, tra il Lago di Bolsena a ovest, quello di Corbara a nordest, quello di Aviano con la Valle del Tevere a est e la Valle dei Calanchi a Sud. Siamo nell’alta Tuscia laziale in una meravigliosa zona di confine con l’Umbria, che dista solo 2 km in linea d’aria. Tuttavia, arrampicarsi con la macchina per le stradine che salendo attraversano boschetti alternati a vigne (non sono poche le aziende vitivinicole che operano in questo fazzoletto di terra), con incantevoli scorci che si aprono improvvisamente, tra una curva e l’altra, sui pittoreschi calanchi o sulle valli sottostanti, non è di certo l’unico motivo valido per spingersi fin lassù. Al contrario, il piacevole tragitto non può far altro che rendere ancor più memorabile ciò che avverrà una volta giunti a destinazione, quando si verrà accolti da Laura pronta a far vivere un’esperienza di enoturismo piena e genuina presso la sua Tenuta, “La Pazzaglia” appunto. E’ proprio quello che è accaduto a me intorno alle 10 di un giovedì mattina di inizio dicembre, appena sceso dalla macchina, con gli occhi ancora pieni delle meraviglie paesaggistiche a tinte autunnali, quando la padrona di casa mi è venuta incontro e mi ha ricevuto come fossi un amico di vecchia data, la cui visita era attesa da tempo. Sono bastati i primi, pochi, minuti di chiacchiere, naturalmente incentrati sulla storia dell’azienda e della famiglia, passeggiando al limitar dei vigneti sottostanti, per farmi sentire totalmente a mio agio, sinceramente e calorosamente accolto.
La famiglia Verdecchia (agricoltori e viticoltori da generazioni) ha acquistato il podere nel 1990, dopo aver letto un trafiletto pubblicato sullo storico periodico di annunci commerciali “PortaPortese”, molto diffuso in quel periodo a Roma e zone limitrofe. A quanto pare, nonostante la tenuta si trovasse in stato di abbandono, fu amore a prima vista e l’anno successivo avvenne il trasferimento da Mentana (poco fuori Roma), non senza numerose difficoltà. I primi lunghi anni, mi racconta Laura, furono all’insegna di sacrifici, disagi, tanto lavoro, importanti investimenti e lunghi spostamenti, da e per la Capitale. Per completare totalmente la ristrutturazione si è dovuto attendere il nuovo millennio, nel frattempo si era provveduto a mettere a dimora oltre dieci ettari di vigne e due di oliveti, lasciando qua e là ampi spazi boschivi. La svolta qualitativa prende il via a fine anni ’90 quando Maria Teresa, sorella di Laura, inizia a metter piede in campo e in cantina, ricevendo gradualmente le redini dal padre e ponendo in essere una serie di cambiamenti e implementazione che la portano a puntare fortemente su due cloni di Grechetto (G109 e G5), riducendo drasticamente la presenza degli altri vitigni (principalmente “internazionali”) piantati anni prima dal genitore. Il desiderio di mettere in risalto le peculiarità degli autoctoni conduce a preferire l’uso esclusivo di contenitori in acciaio per tutte le fasi di vinificazione e alla scelta di pratiche (anche se non necessariamente per tutte le etichette) quali fermentazioni spontanee, macerazioni sulle bucce, in alcuni casi pressature a grappolo intero (con i raspi), permanenze medio-lunghe sulle fecce fini, bâtonnage e assenza di filtrazione. Il risultato di tale lavoro, portato avanti con passione e convinzione, lo si ritrova senza ombra di dubbio all’interno delle bottiglie, soprattutto quelle da Grechetto in purezza (“Poggio Triale”, “109” e “Rendu”).
La piccola cantina e i vigneti sono i due Regni di Maria Teresa che non concepisce alcun tipo di lavorazione, tanto sulle viti quanto sui vini, che non sia incentrato sulla meticolosità, l’estrema attenzione e un’imprescindibile cura. In questa sua “missione” è affiancata da un enologo, una squadra specializzata chiamata a operare durante i periodi più impegnativi dell’anno e (periodicamente) alcuni stagisti dei corsi di enologia inviati dall’Università della Tuscia ma, mi è stato detto, la vera (e instancabile) anima produttiva dell’azienda è proprio lei.
Laura, di contro, gestisce in totale autonomia la parte commerciale, amministrativa e ricettiva. A lei si devono una serie di decisioni importanti, alcune delle quali molto coraggiose, come quella di dotare la quasi totalità delle etichette prodotte di chiusura con tappo Stelvin; nonostante la diffidenza e le inevitabili difficoltà iniziali (parliamo di circa vent’anni fa) la scelta si è rivelata vincente, da un punto di vista dell’affidabilità, della longevità e della qualità: ho avuto infatti la fortuna di degustare, tra gli altri, un Poggio Triale del 2014 (Grechetto G5 in purezza) e l’ho trovato in splendida forma, fresco, ampio, equilibrato e dotato di buona persistenza (vi rimando alla recensione per maggiori dettagli). Ma non solo: è sempre Laura che decide quando mettere in commercio un annata rispetto a un’altra, sulla base di valutazioni effettuate grazie a continue degustazioni, alcune delle quali in compagnia di visitatori, addetti ai lavori ed esperti del settore (prima di finire sulle tavole dei clienti il vino deve convincere lei in ogni minimo dettaglio, diversamente sarà destinato a effettuare ancora qualche mese di affinamento in bottiglia nei locali dell’azienda).
Questo modo di concepire il lavoro da parte delle due sorelle Verdecchia ha portato, senza ombra di dubbio, i suoi frutti e numerosi sono stati i riconoscimenti ottenuti dalle maggiori Guide italiane (“3 Bicchieri” e “4 Viti” su tutti).
Tornando al racconto della mia giornata di enoturismo presso Tenuta La Pazzaglia, conclusi i vari giri negli ambienti esterni, giunge il momento tanto atteso… e non credo sia difficile immaginare quale sia. Il luogo dedicato alle degustazioni è un’ampia sala all’interno della quale troneggia un lungo tavolo di legno (insieme a una grande cantinetta a doppia anta), anche se il vero protagonista della stanza è un maestoso camino che, per la mia gioia, è rimasto acceso a scaldarci per tutto il tempo. Laura posiziona nove bottiglie sul tavolo, decisa a farmi degustare tutta la gamma di prodotti, inclusa una mini-verticale del loro fiore all’occhiello, il “Poggio Triale”.
Come accennato, la descrizione dei vini assaggiati si trova nella recensione, ma vorrei comunque sottolineare la pulizia, la freschezza gustativa, l’ampiezza, l’equilibrio e la persistenza delle varie etichette a base di Grechetto: confesso senza vergogna che se avessi effettuato una degustazione “alla cieca” avrei probabilmente asserito di trovarmi di fronte a vini elevati in legno (quantomeno per alcuni di essi) e difficilmente avrei indovinato le relative annate (soprattutto nel caso della 2014). Questo per due motivi fondamentali: la notevole complessità gusto-olfattiva (note minerali evolute; sentori di tostatura e a volte speziati; refoli eterei che chiamano alla mente lo smalto e in alcuni casi spunti dolci che ricordano il miele e la frutta matura…) sostenuta da una vibrante freschezza che previene (o quantomeno ritarda di parecchio) “le rughe”, inevitabile conseguenza degli anni che passano.
Le chiacchiere scorrono via che è un piacere, Laura mi racconta episodi e aneddoti sulla sua azienda e sui suoi colleghi/amici e per me è un vero piacere confrontarmi con lei su tanti argomenti, anche al di fuori del nostro amato mondo enologico. Mi sento talmente a mio agio, la conversazione è più che gradevole, l’ambiente è famigliare, i vari calici sono accompagnati da alcuni taglieri e il risultato di tutto ciò è che sono ormai trascorse quattro ore dal mio arrivo e neanche me ne sono reso conto!
E’ assolutamente giunto il momento di togliere il disturbo, non prima di aver acquistato alcune bottiglie e aver sentitamente ringraziato la padrona di casa, per avermi accolto come un vecchio amico, per avermi raccontato la straordinaria storia della sua famiglia, per aver generosamente riempito la tavola di bottiglie (e non solo), per avermi fatto scoprire un vino davvero affascinante e una declinazione del Grechetto molto interessante, per avermi fatto sentire come fossi a casa, al punto di aver perso la cognizione del tempo e infine per avermi dato la possibilità di tornare arricchito da questa visita a Tenuta La Pazzaglia, specialmente nello spirito, perché enoturismo significa anche e soprattutto questo: scoperta, incontro, accoglienza, condivisione e, perché no, amicizia.
Contatti
Strada Bagnoregio 4
01024 Castiglione in Teverina (VT)
Cell. 348.6610038 / 340.2762340
info@tenutalapazzaglia.i
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La recensione della visita a Tenuta la Pazzaglia
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